AUGURI

giovedì 24 maggio 2007 2 commenti


Voglio fare gli auguri ad una coppia di amici che hanno iniziato un'avventura meravigliosa. Mi dispiace essere lontano, ma le persone a cui voglio bene sanno che in un certo senso gli sono molto vicino.

Un bacio ed un in bocca al lupo.

CENA MULTIETNICA

3 commenti
La scorsa domenica Kaiano ci ha invitato a casa sua per mangiare una zuppa di curry, io ho colto la palla al balzo e mi sono offerto volontario per la preparazione degli spaghetti. Lei ha accettato di buon grado e mi ha concesso di arrivare in anticipo per cucinare.
Gli invitati in totale sono otto di cinque nazionalità diverse. Le culture saranno diverse, ma evidentemente non si va a casa di qualcuno a mani vuote in nessun paese del mondo ed allora come per magia ci troviamo la tavola imbandita con le pietanze più disparate.
Cominciamo con le cose da bere: birra scura, vino cileno, sake, te verde, diet pepsi, succo d'arancia e acqua filtrata per osmosi inversa (quella proveniente da sorgenti è molto rara) in bidoncini da un gallone. Per quanto riguarda le pietanze abbiamo come antipasti: delle tortillas stupidamente aromatizzate al limone, verdura bollita e speziata di origine koreana, fagiolini secchi e salati e delle patatine.
Il piatto principale è composto da: una porzione di spaghetti con melanzana, salsiccia, pomodori e prezzemolo fresco, del riso cotto al vapore accompagnato da verdure stufate in salsa di curry, della carne in agro dolce e dei piccoli involtini di pasta ripieni con aglio, spinaci, manzo e irrorati con salsa di soia.
Il groviglio di sapori è condito da un'atmosfera rilassata, il nostro inglese migliora e con esso la complessità dei nostri discorsi. Il fatto che io sia italiano e la fortunata coincidenza di aver ottenuto il numero di Madeleine in pochi minuti mi ha fatto diventare, in maniera assolutamente immeritata, un idolo per i ragazzi giapponesi.
D'altro canto loro hanno una completa mancanza di “educazione sentimentale” per dirla alla Flaubert, per esempio non aiutano una donna a portare le borse della spesa, la lasciano sola a cucinare in un'altra stanza e sono terribilmente timidi quando incontrano degli sconosciuti. Tanto che più di una volta ho dovuto dire a “U” o a “Kazu”: ”You are a chicken!”.
Di Kaiano ne ho già parlato e non posso che ripetervi che mi piace, conserva tutta l'innocenza e la capacità di stupirsi che hanno i giapponesi, ma a volte è così sicura e così determinata da impressionare. Mi piace la sua capacità di dire le cose più private e più profonde senza il minimo imbarazzo, il tutto si contrappone al suo pudore nelle cose più banali, come nel chiederti di toglierti le scarpe per entrare nella sua stanza o nel farsi pregare quasi un ora per suonare qualcosa al pianoforte.
Domenica ero seduto per terra nella sua stanza e scorgo uno foto tra i fogli posati di fianco al pianoforte, la indico chiedendo con innocenza se era il ragazzo coreano di cui mi aveva parlato, lei fa uno scatto e la porta via voltandola. Mi scuso per la mia impertinenza e cerco di cambiare discorso, lei invece comincia a raccontare:”Questa foto l'ho stampata poco dopo la sua partenza e l'ho subito messa in questo cassetto, non l'ho guardata quasi per un anno. Ma in questi giorni ho provato una grande nostalgia ed allora l'ho tirata fuori”. Io sono molto imbarazzato, è difficile abituarsi a vedere le persone che mettono a nudo le loro debolezze, ma lei ne vuole parlare e allora le chiedo se lo sente ancora. Lei quasi sospirando mi dice che si scambiano qualche mail. Poi riprende:”Lui è un bravissimo pianista”, poi come se avesse letto le perplessità sul mio volto aggiunge:”Aveva la fidanzata in Giappone ed è tornato da lei”.
Io sospiro e lei mi guarda negli occhi ed aggiunge:”I fought, I lost. I'm not a chicken”. Trattengo a stento la voglia di stringerla tra le mie braccia. Poi lei fa un sorriso per rompere la tensione del momento e subito dopo riprende a parlare con tranquillità. Lei ha un buon inglese, non fluente, ma grammaticalmente corretto e melodioso. Parla un po' di lui e di come lo ha conosciuto e mentre mi racconta mi sembra di essere entrato in un romanzo di Banana Yoshimoto, l'atmosfera è ovattata, vaporosa, quasi dispersa. Ed ad un certo punto dice:”Lui per me è speciale e penso che nella vita non incontrerò mai più un persona come lui”.

Ho potuto vedere la sua tristezza attraverso quella nebbia e non so perché, ma mi è apparsa incredibilmente dolce.

WEIRD THINGS

lunedì 21 maggio 2007 6 commenti
Queste parole le sto scrivendo all'interno della lavanderia a gettoni, in tanto che attendo che i miei vestiti finiscano il loro ciclo di lavaggio. Le mie mani profumano di ammorbidente. Mentre sono qui a massaggiarmi i baffi ed ad odorarmi le dita non mi viene in mente nessuna storia da raccontarvi, ma solo cose strane, intendo piccole differenze, cose inusuali e allora non posso fare altro che scriverle. Vi siete mai chiesti come mai gli americani nei film si facciano sempre portare a casa la pizza con i peperoni? Effettivamente puoi comprare la “pizza peperoni” quasi ovunque, ma non ti aspettare il nostro ortaggio, ti verrà servita una pizza con salamino piccante. La parola è esattamente la stessa ed anche la pronuncia è quella italiana, ma il significato è diverso. Per gli americani la pizza va mangiata con le mani e lo stesso dicasi per le patatine fritte, non so se mangiare con le posate queste due pietanze venga considerato maleducato come ruttare al ristorante, ma certo vieni guardato con una sorta di sospetto.
I Newyorkesi considerano i tassisti come dei folli al volante, agli occhi di un italiano possono essere paragonati a delle educande. E' impressionante come NYC sia una città fatta per i pedoni, Manhattan in special modo, nonostante le strade siano spaziosissime ci sono pochissimi parcheggi e ciò scoraggia non poco l'utilizzo dell'automobile. Parcheggiare vicino a Time Square può costare anche fino a 18 dollari l'ora! I pedoni attraversano regolarmente con il rosso e questa è una regola che devi imparare immediatamente altrimenti percorrere cinquecento metri ti può richiedere venti minuti.


L'ingresso alla metropolitana si effettua dallo stesso tornello in cui si esce, agli occhi di un europeo può sembrare poco efficiente, ma ad oggi non ho visto nessun ingorgo causato da questa stranezza. Le linee metropolitane sono 26 e gli autobus circa 200, funzionano ventiquattrore al giorno ed il biglietto per qualunque destinazione costa 2 dollari.


Ogni tanto si possono vedere passare limousine lunghe quanto un pullman, in generale devo dire che non ho visto macchine molto più grandi di quelle che ultimamente circolano per Milano.


A proposito di cose strane, ve la ricordate Natalia quella della discoteca? Lei è divorziata ed ha una figlia di otto anni, il ventisei di maggio si celebra la prima comunione di sua figlia ed essendo cattolico (almeno sulla carta) sono stato invitato. Che palle direte voi? Ma non vi ho ancora detto che la comunione si svolge a Miami e che andrò a stare per una settimana ospite a casa di Natalia, o meglio, a casa della madre di Natalia. Sto anche cercando casa per quando tornerò da Miami perché devo purtroppo levare le tende e salutare la Senora Elsa, Lukana si sta dando da fare a cercarmi un appartamento ed un giorno dispiaciuta mi ha fatto un discorso che suonava più o meno così:”Io sono una hostess e conosco dei posti dove puoi affittare una camera, ma non te li raccomando”. Gli chiedo lumi e lei riprende:”Perché le hostess dividono le camere ed in un mese ti possono capitare in casa anche venti o trenta ragazze diverse”. Faccio lo sguardo di chi considera la questione una vera scocciatura, ma dentro di me rido. Le dico che però non ho ancora trovato niente e che meglio che sotto un ponte deve pur essere. Lei allora rincara la dose:”Poi le hostess, soprattutto se giovani, vogliono sempre fare vesta, bere e non ti lasceranno mai studiare. Per non parlare se bloccano gli aeroporti ti ritrovi in casa dieci ragazze in una volta sola, te lo immagini che inferno?”.


Io le dico che ho una buona capacità di concentrazione e che tutto sommato una giornata di nebbia a giugno e poco probabile e che quindi sono pronto a correre il rischio. Lei mi dice che allora si informerà.


Magari la nebbia è poco probabile, ma un temporale può sempre capitare. Altro che inferno, penso che nessuno, prima di Lukana, sia mai andato così vicino a descrivere la mia idea di paradiso in terra.

ICE CREAM 1/2

lunedì 14 maggio 2007 3 commenti
Una decina di giorni fa sono andato con i miei due compari giapponesi, ormai siamo quasi inseparabili, in un Jazz Club a sentire un po' di musica, li avevamo appuntamento con una nostra compagna di classe, naturalmente anche lei giapponese di nome Kaiano.
Appena ho avuto occasione di parlarle mi ha subito suscitato un certo senso di ammirazione mista a simpatia. Mi ha raccontato che lei era impiegata in una compagnia assicurativa a Tokio e che due anni fa ha deciso di cercare di diventare una pianista jazz professionista, quindi ha lasciato il lavoro ed il suo paese e si è trasferita a NYC. Adesso parla un'inglese discreto e suona due sere alla settimana in un ristorante giapponese.
Prima di andare al pub passiamo a casa di Madeleine (una amica di Kaiano) a bere qualcosa. Madeleine è francese, carina, con un bel fisico, un ottimo gusto nel vestire e vive a NYC ormai da cinque anni. Le mie capacità di comprensione dell'americano sono sorprendentemente migliorate, nonostante ciò mantengo un certo timore reverenziale nei confronti dei nativi; l'inglese delle persone asiatiche non è dei più facili da decriptare, perciò quando ho sentito parlare Madeleine non mi è sembrato vero. Avevo finalmente di fronte una persona con l'inglese fluente, l'abitudine a parlare con gli stranieri e fatto da non sottovalutare era europea! Andiamo al club ed io e Madeleine ci sediamo vicini, parliamo per gran parte della serata, lei mi corregge con molta cortesia i miei errori e mi insegna nuovi vocaboli. Scopro che parla anche un po' di italiano e questo mi è di aiuto nei momenti difficili del dialogo. A metà serata ci scambiamo i numeri di telefono. Ogni tanto con l'orecchio capto qualche parte del discorso dei miei amici giapponesi che nonostante stiano parlando praticamente tra compaesani continuano ad usare l'inglese.
Lascio passare qualche giorno e le mando un messaggio per invitarla a bere una birra, lei mi risponde che da un po' stava pensando di chiamarmi e che quindi accetta molto volentieri. Lei vive a Manhattan in Broadway Avenue, molto vicina a Central Park in una zona meravigliosa della città, andiamo in un pub non lontano da casa sua. Io mi bevo due Guinness e lei due bicchieri di vino bianco, sostengo il dialogo piuttosto bene e parliamo dell'Italia e della Francia, di politica e di abitudini, di quanto tutto sommato ci assomigliamo e di quanto siamo diversi dai tedeschi. Ad un certo punto il discorso cade sulla cucina asiatica e lei mi invita ad andare con lei ad un ristorante giapponese il giorno dopo, io rimango piacevolmente sorpreso ed accetto di buon grado. La accompagno sotto casa, la saluto con un abbraccio ed un bacio sulla guancia, la ringrazio per la serata e la guardo entrare nel suo portone prima di andare verso la metropolitana.
Ah quasi dimenticavo! Madeleine è splendidamente nera e mentre mi incammino verso casa ed inforco gli auricolari del mio iPod, penso che NYC è come una enorme gelateria e che mi è proprio venuta voglia di cioccolato.

ICE CREAM 2/2

domenica 13 maggio 2007 8 commenti
Mi presento puntuale e tirato a lucido sotto casa sua, la chiamo e lei scende quasi subito, indossa dei jeans attillati ed una maglia chiara che le illumina il viso. Il ristorante è molto carino, scegliamo un tavolo vicino alla vetrata e subito una cameriera si presenta con un sorriso stampato sul viso ed il menù. Sono piuttosto in difficoltà perché in genere non gradisco molto il pesce quando è cotto e non ho la minima idea di che sapore abbia da crudo; comunque ostento sicurezza e mi faccio consigliare con dovizia cosa mangiare. Alla fine prendiamo del sushi e della birra giapponese. Dopo qualche minuto torna la cameriera sorridente con le nostre birre, una ciotola di piselli ancora con la buccia e due pezze umide e caldissime. Madeleine prende la pezza e si strofina le mani con cura, io la imito anche se trovo questa usanza del tutto inutile visto che mi sono lavato le mani appena entrato nel ristorante. Ultimato questo rito guardo i piselli con sospetto, lei mi spiega che sono una specie di antipasto e che sono deliziosi, alla fine li assaggio poco convinto e ne rimango folgorato. Tanto semplici e tanto buoni quasi da non crederci, quando la cameriera ritorna a raccogliere le pezze cerco di farmi spiegare come si preparano, lei con gentilezza mi dice che fa la cameriera e mica la cuoca e mi sbologna. Il sushi è squisito, Madeleine mi insegna come stemperare il wasabi nella salsa di soia e mi raccomanda di mangiare l'uovo per ultimo.
Mentre la conversazione si srotola su vari argomenti parlo senza freni e mangio assaporando il cibo con pazienza. Ad un certo punto mi racconta che ha avuto un ragazzo giapponese diversi anni fa a Parigi, era stata con lui circa un anno, allora incuriosito gli chiedo senza nessuna malizia come sono i ragazzi giapponesi. Forse mi fraintende e mi risponde secco:”non un gran che”. Io replico che magari era solo lui un po' scarsino e che non bisogna fare di tutta un'erba un fascio. Lei mi lascia completare e poi mi dice che ha molte amiche giapponesi pronte a sottoscrivere le sue affermazioni. La faccenda mi ha rabbuiato, pensare ad un intero paese che fa male l'amore mi sembra una delle cose più tristi al mondo, beh bisogna anche dire che deve essere un posto pieno di prospettive per chi ha voglia di fare!
La discussione fila via liscia ancora per un po', fino a quando non salta fuori che ha avuto anche un fidanzato italiano. Allora un po' spaventato da quanto sentito poc'anzi gli chiedo senza giri di parole se l'italiano se la cavava bene. Lei mi guarda con uno sguardo pieno di complicità che sembra dire “ma secondo te, perché sto mangiando in un ristorante giapponese con un italiano e non con un giapponese in un ristorante italiano”. Ufficialmente però, ne conferme ne smentite.
Usciamo dal ristorante e lei mi chiede cosa voglio fare, io le rispondo che potremmo bere qualcosa, allora lei mi dice, in inglese, se voglio salire da lei che ha del sake e della birra giapponese. Io accetto di buon grado, lei a quel punto mi ripete la frase nel suo italiano stentato, è così sexy che ad ogni parola che aggiunge mi sento sempre più eccitato, tanto che alla fine della frase ho diversi problemi a camminare. Saliamo in casa sua, è un monolocale con una vista eccezionale e semplice nell'arredamento. Lei accende delle candele, mette un cd di musica brasiliana e mi mostra delle foto di quando è stata in Giappone. Mi racconta del viaggio e mi consiglia di andarci il prima possibile. I scovo nella libreria un libretto per turisti inglese-italiano, uno di quei mini dizionari dove trovi le frasi stupide del tipo “Posso avere una piazzola all'ombra per la mia tenda?”. Salto la sezione “come dire di no ad un uomo che ti importuna” e mi concentro su quelle da dire al meccanico quando la tua auto è in panne. Io leggo le frasi in inglese e lei le traduce in italiano, ce la ridiamo per un po' poi mi avvicino e la bacio. Dopo qualche minuto mi sorprendo a soppesarle con il tatto la grandezza del capo, è di discrete dimensioni, ma certo non paragonabili a quello più grande che mi sia mai capitato tra le mani.
In quel momento, per la prima volta da quando sono partito e solo per un brevissimo istante ho avuto una gran voglia di tornare a casa.

CIBO

domenica 6 maggio 2007 0 commenti
Mangio in maniera piuttosto disordinata, raramente consumo tre pasti al giorno e nonostante io abbia una fornitissima cucina, mi sono limitato a scaldare al forno a microonde solo dei petti di pollo precotti.
I ristoranti sono molto economici ed hanno prezzi paragonabili ai fast-food. Ho subito allacciato buoni rapporti con due ragazzi giapponesi che seguono il corso di pronuncia con me, i nomi completi non li conosco, ma uno si fa chiamare “U” e l'altro “Kazu”. Il primo è piuttosto basso, naturalmente molto magro, con una chioma fluente, riccioluta e magistralmente domata; Kazu è più alto di me di quasi un palmo, piuttosto giovane, esile, con la barba incolta che lo fa sembrare un bambino travestito da Abramo Lincoln per la recita scolastica. Grazie al loro imprimatur sono solito mangiare con circa una decina di ragazzi e ragazze dell'estremo oriente, prevalentemente coreani o giapponesi, ma c'è anche una ragazza di Taiwan quindi di lingua cinese ed un paio di ragazzi thailandesi.
Il mio pranzo è quasi ogni giorno di provenienza esotica, non sono ancora in grado di descrivere in maniera razionale la differenza dei sapori tra le varie cucine e tanto meno ho la possibilità di riportarvi il nome di qualche pietanza, posso solo darvi qualche impressione di nessun valore scientifico ed assolutamente soggettiva.
Il mio preferito è il ristorante coreano, il cibo è un po' più piccante degli altri ed è più facile trovare carne cucinata in modo simile a come la cuciniamo in Europa. Ho avuto un sussulto quando la prima volta che siamo andati a mangiare coreano, un ragazzo proveniente da quel paese mi chiede se mi piace lo spezzatino che sto assaporando ed aggiunge che è un piatto molto popolare. Io rispondo con un sì convinto e mi rituffo nel mio piatto, a quel punto sento a malapena una domanda rivolta al ragazzo coreano che mi gela il sangue nelle vene:“Con che tipo di carne è fatto?”. Il ragazzo coreano è conosciuto per essere una persona riflessiva, ma il tempo che stava passando era troppo per essere considerato usuale, a quel punto trangugio a fatica il boccone che stavo masticando e dico con un filo di voce:”Dog?”.
Lui prima mi tranquillizza dicendo che probabilmente si tratta di manzo e dopo piomba in un silenzio che mi è parso pieno di rancore.
I ristoranti cinesi a NYC sono completamente diversi da quelli che si trovano in Italia. In primo luogo quasi non si trovano pietanze fritte, il che rende tutto molto più digeribile, ed inoltre non si sente quel terribile odore di glutammato; in generale il cibo è di migliore qualità e la differenza è sorprendente, non sembra neanche di mangiare le stesse cose. Non ho ancora avuto il coraggio di assaggiare una delle loro famose zuppe di pesce con gli spaghetti di soia. E' decisamente troppo acquosa per i miei gusti, mi sembrerebbe di mangiare direttamente in un acquario.
Il cibo thailandese l'ho assaggiato solo una volta e l'ho molto gradito, mi è parso meno piccante del coreano ed un po' più spezziato. Sono stato anche in famoso ristorante vietnamita a Brooklyn, l'atmosfera era molto accattivante, con un ottimo equilibrio tra tradizione e modernità. Il gioco di luci è assolutamente indicato per una serata romantica, ma non è certo ideale per leggere il menù. Comunque con l'ausilio dei preziosi consigli di Natalia ho scelto un ottimo piatto di riso, manzo, broccoli e carote il tutto condito in una squisita salsa piccante.
Ah! Quasi dimenticavo, ormai uso le bacchette come se fossero il prolungamento delle mie mani.

Lukana mi ha fatto provare il cibo colombiano e devo dire che mi è piaciuto molto. Il piatto è tutto sommato semplice ed è formato da una base di riso bianco, dei fagioli cotti in un delizioso brodo, spezzatini di manzo, un pezzo di maiale cotto alla griglia e per finire una banana fritta (o meglio un tipo di banana meno dolce di quella che noi mangiamo in Italia che loro chiamano platano). Con lei e con i suoi figli sono andato anche ad un ristorante messicano. Era il primo giorno che passavo a NYC e mi ha subito sorpreso come fosse diverso dall'Italia. Per cominciare nei ristoranti in America l'acqua è gratuita e ne puoi avere quanta ne desideri, in secondo luogo sono aperti quasi 24 ore al giorno, a loro non importa nulla se vuoi cenare alle quattro del pomeriggio o mangiarti uno stufato alle tre di notte.
Il rapporto con la clientela è più cordiale e meno problematico che in Italia. Mentre io e Lukana ci gustavamo le nostre tortillas i suoi figli stavano colorando con degli enormi pastelli a cera dei disegni, che si premuravano di completare sulla tovaglia nel caso in cui il foglio non fosse sufficientemente capiente per contenere la loro fantasia. Il cameriere li guardava divertivo e li incoraggiava ad usare più blu per il cielo e un verde più chiaro per l'erba. Non ha fatto una piega neanche quando uno dei bambini ha rovesciato una buona metà del succo di frutta.
Ieri ho passato la giornata con U e una ragazza di Taiwan di nome Bai Ling, lui ha un lato creativo molto spiccato e sa leggere bene le situazioni, lei è bassina con un viso carino e due occhi intelligenti come lei del resto è. Nonostante la lingua e le differenze culturali lei è stata capace di cogliere lati del mio carattere che non in molti conoscono. Ormai ci conosciamo da più di una settimana e quindi le conversazioni sono diventate più profonde di quanto il nostro inglese ci permetta. Cerchiamo di sopperire con altre vie di comunicazione, come i gesti o il disegno. E' stata una giornata piacevole e verso sera abbiamo cenato insieme in un ristorante cinese. Ad un certo punto ho scorto la mia immagine in uno specchio e mi sono visto con le bacchette in mano a ridere e conversare con loro ed ho pensato che la vita è proprio strana.

Se hai il coraggio di partire ti riserba cose che neanche ti puoi immaginare.

NIGHTLIFE 1/2

venerdì 4 maggio 2007 3 commenti
Vi ricordate la cugina di Lukana che mi aveva dato buca il primo venerdì che ho passato a NYC? Beh, mi ha dato buca anche questo sabato! Ma non quello passato e adesso ve lo racconto.
Le istruzioni all'incontro erano piuttosto semplici, dovevo stare in casa fino al momento in cui avrei ricevuto una telefonata da Natalia, a quel punto sarei dovuto uscire di casa ed aspettare. Il tutto si sarebbe dovuto svolgere intorno alle 23:00 o poco più, invece non ricevo notizie fino a mezzanotte quando finalmente suona il telefono. Natalia mi annuncia in un americano piuttosto stretto che non riesce a trovare il mio appartamento, dal canto mio ribatto che non sono della zona e che non so cosa dire, lei a quel punto si spazientisce del mio inglese e credendomi di farmi un favore comincia a parlare in spagnolo. Dopo qualche minuto di reciproche incomprensioni le dico che vado fuori ad aspettarla.
Notate che al momento dei fatti avevo già perso il cellulare e non ne avevo ancora comprato un'altro. Stare fermo in mezzo alla strada a mezzanotte nel quartiere in cui vivo non mi è sembrato raccomandabile, se cammini sembra che hai uno scopo e quindi puoi assomigliare ad uno del posto, ma se rimani fermo come un ciula diventi un bersaglio piuttosto facile. Decido di tornare in casa, nel frattempo Natalia mi aveva lasciato un messaggio in segreteria dove mi diceva che non riusciva a trovarmi, concluso da una frase in spagnolo che assomiglia tanto ad un rosario di insulti, ma non ne ho le prove.
La richiamo e cerco di fare il simpatico e di descrivere la zona, ad un certo punto mi urla di uscire che sono arrivate. Esco di casa il più in fretta che posso e mi ritrovo di fronte un maggiolino giallo con dentro due ragazze, appena mi vedono escono dalla macchina e mi vengono incontro. Definirle appariscenti sarebbe un eufemismo. Natalia è prosperosa e leggermente in carne, latina nelle fattezze e anche nel viso, ha una risata coinvolgente ed a volte un po' sguaiata, a prima vista sembra una ragazza spensierata e menefreghista, ma a volte il suo viso si rilassa e allora puoi cogliere un'espressione malinconica e dolce che è sicuramente indizio di passata (o forse non ancora passata) sofferenza. Indossa dei Jeans aderenti ed una sorta di camicia che credo di aver visto addosso solo a Daisy Duke in Hazzard. Mia, la ragazza italiana, è longilinea, ben disegnata, un po' volgare in viso e certamente il trucco non contribuisce ad ingentilire il mio giudizio. Porta una gonna abbastanza corta, la pancia è nuda a mostrare un'abbronzatura impeccabile ed un bel piercing all'ombelico.
Prima ancora di salutarmi mi dicono che stiamo andando ad un club di grido e che il mio maglione non si addice alla serata, me lo tolgo e gli mostro la camicia che indosso, la valutano con un'occhiata poi mi aprono due bottoni, salutano con soddisfazione la mia collana e mi danno il permesso di entrare in macchina.
Entriamo al club che sono già le due dopo aver passato dei controlli degni di un aeroporto. Andare in discoteca con due ragazze così ha i suoi vantaggi, in poco meno di dieci minuti siamo invitati in un privè. Le mie due compagne di avventura hanno subito il loro da fare con due baldi giovani, ogni tanto si ricordano di me, mi versano da bere e mi presentano qualcuno.
Dopo mezzora ho già bevuto tre cocktail e parlato con tutti ed allora decido di andare a fare un giro. Sarà stato per l'alcol o per l'euforia della novità, ma ballo di gusto e più di una non si sottrae ai miei sguardi, purtroppo quando si arriva al momento di rivolgere la parola le cose si complicavano terribilmente. La musica alta si somma al mio inglese approssimativo ed all'alcol ingerito, il risultato è che ho le capacità comunicative di un albero.
Ho maggior successo con una ragazza che dice di essere di origine italiana, ci chiacchiero un po', lei è più paziente delle altre. Le chiedo come mai non parla una parola di italiano e mi spiega che quasi non lo parlano neanche i suoi genitori. Allora le spiego che con l'inglese balbetto, ma con l'italiano me la cavo alla grande e concludo dicendo:”I'm quite a writer!”.
Lei se la ride di gusto e mi racconta qualcosa che non capisco per almeno cinque minuti, ad un certo punto arriva una sua amica e le dice che devono andare. Io intuisco la situazione e mi preparo la frase per invitarla a prendere un caffè, ma mi accorgo di non avere un cellulare, questo mi fa esitare quel tanto che basta da perdere il momento, mi saluta dandomi un bacio sulla guancia e se ne va.
Adesso un cellulare ce l'ho ed il numero lo conosco anche a memoria.

ASTORIA

lunedì 30 aprile 2007 4 commenti
Il mio appartamento è abbastanza carino, ho una camera con due letti, una TV con qualche canale a pagamento, un impianto stereo ed un lettore DVD con Home Theater. La cucina è posizionata proprio all'ingresso ed è fornita di ogni elettrodomestico e suppellettile, ho anche un enorme frigorifero che potrebbe comodamente contenermi. Il bagno ha una doccia spaziosissima. In due ci si sta di sicuro, ma ad occhio, stringendosi ci si sta anche in quattro.
Il resto del bagno non è altrettanto spazioso e non ho neanche il bidè. Come tutte le case americane che si rispettano non ho la lavatrice e probabilmente nei prossimi giorni andrò alla lavanderia a gettoni a fare il bucato.
Vista da fuori la casa ha decisamente un aspetto dimesso ed anche il vicinato non sembra dei più raccomandabili, ma mi hanno detto di stare tranquillo ed io non mi faccio prendere dal panico. La posizione è piuttosto comoda. In linea d'aria non sono che a duecento metri dal fiume e quindi non più di mezzo chilometro da Manhattan.
Basta camminare per trecento metri ed imbocco la strada principale del quartiere ed il paesaggio cambia drasticamente, l'intera via è costellata da negozi, ristoranti, pub e locali. I ristoranti sono molto economici e quindi la gente tende a cenare sovente fuori, il risultato è che anche durante la settimana il quartiere e zeppo di persone.
Non fatevi ingannare non è Corso Como. Non si vedono solo giovani tirati a lucido e pronti a far nottata. I ristoranti sono pieni di famiglie con bambini scalmanati e nonne bisbetiche (specialmente quelle di lingua spagnola sono terribili), nei pub si incontrano pensionati, studenti, coppie mature e gruppi di amici.
Astoria era storicamente popolato da italiani, adesso le cose sono molto cambiate e lo spagnolo è sicuramente la lingua parlata meglio, anche rispetto all'inglese. Un newyorkese su tre non è nato in america, ma in ogni casa trovi la bandiera a stelle e strisce, l'ho davanti agli occhi anche in questo momento in casa della Señora Elsa.
La forza di questa città sta nel fatto che, o in prima persona o attraverso il racconto dei propri genitori, chi vive a NYC sa che qui ha migliorato la sua vita. Ho parlato con molti immigrati e tutti mi hanno detto che non lascerebbero mai NYC per tornare nel loro paese.
NYC è popolata da persone felici di stare qui, già solo questo non sarebbe poco, ma c'è di più. Chi ha fatto una scelta difficile come lasciare le proprie radici per essere più felice e ci è riuscito, è una persona che sarà capace di fare ancore scelte coraggiose per raggiungere la felicità.

Sembra una banalità, ma non tutte le persone sanno che possono inseguire la loro felicità o alcune lo sanno e non hanno la forza di farlo o ad altre non gli hanno insegnato come fare. In questa città si respira l'aria di sogni realizzati e si coltivano speranze.

Questa città ti accoglie perché in questa città tutti sono arrivati e pochissimi ci sono nati.

Se a Milano un siciliano lavora per una vita in una fabbrica di panettoni in fondo verrà sempre considerato un terrone, a NYC ti bastano dieci giorni per diventare un newyorkese.

Io sono arrivato nove giorni fa.

MANHATTAN

0 commenti

Manhattan ha la forma di un rettangolo allungato, il lato maggiore si distende da nord verso sud, il lato inferiore è circa un sesto di quello maggiore. Le sue dimensioni sono simili a quelle dell'isola capace di contenere tutti gli abitanti del mondo, come la descriveva Antoine de Saint-Exupéry nel piccolo principe.
Effettivamente Manhattan è questo, un mondo concentrato in un isola. In meno di una settimana ho mangiato: coreano, colombiano due volte, messicano e thailandese.
Da nord a sud corrono le Avenue, enormi strade a senso unico dotate di sei corsie, da ovest verso est puoi percorrere le Street, strade più modeste con solo tre corsie ed anche queste prevalentemente a senso unico.
Le strade hanno raramente nomi propri e più spesso sono etichettate da dei numeri. Le poche eccezioni hanno nomi celebri come Broadway o Lexington avenue.
Al centro di Manhattan c'è Central Park un'enorme area verde che ricopre circa un decimo dell'intera isola. Riuscite ad immaginarvi quanto tempo potrebbe resistere in Italia un parco di quelle dimensioni posizionato al centro dell'area potenzialmente edificabile più preziosa al mondo.

La mia principale paura nell'affrontare il viaggio era quella di trovarmi in un ambiente claustrofobico, nel quale fosse difficile scorgere il sole o guardare l'orizzonte. In realtà NYC è una città sorprendentemente luminosa, la dimensione delle strade e la loro disposizione geometrica danno l'impressione di stare in uno spazio aperto. Nonostante sia piuttosto difficile trovare palazzi con meno di 20 piani questo non ti impedisce di essere sempre illuminato dalla luce solare.

I Newyorkesi dividono Manhattan in Uptown, Midtown e Downtown.
Uptown è a nord di Central Park e puoi trovare la Columbia University ed Harlem, le street hanno numeri superiori al 90.
Con Midtown si definisce la parte centrale dell'isola dove puoi passeggiare per: Central Park, Park Avenue, il Rockefeller center e naturalmente Time Square.

Entrando nella downtown si passa per Little Italy, si prosegue per Chinatown che si sta pian piano espandendo a spese del quartiere italiano e si arriva a Wall Street. Nel cuore di downtown c'è Ground Zero. Proseguendo si raggiunge Sea Port e quindi l'oceano.
NYC è una città di mare, i suoi ponti sono famosi ed il suo monumento simbolo è posizionato per essere visto arrivando dal mare. Ve lo immaginate l'immigrante veneto all'inizio del novecento che dopo un mese di viaggio in mezzo all'oceano si trova davanti la statua della libertà?
Eppure il mare non si percepisce, in città non se ne respira l'odore e non se ne sente il rumore, nessun segnale ti fa capire di essere accanto all'oceano. Mentre scrivo queste parole mi viene alla mente ciò che un giorno mi disse un mio amico genovese:”Ma cosa volete capirne voi milanesi del mare che vi accorgete che c'è solo quando avete l'acqua alle ginocchia”.
Il primo giorno ho visitato Manhattan da solo per quasi dieci ore, alla fine della giornata stavo tornando verso casa con la metropolitana, un po' per la stanchezza dovuta alla camminata ed un po' perché per dieci ore mi sono trovato a scambiare solo poche parole occasionali e neanche nella mia lingua, mi sentivo un po' triste e leggermente preoccupato. Stava sorgendo in me la paura di non riuscire ad integrarmi in questa enorme città. I miei pensieri sono stati disturbati dall'ingresso nella mia carrozza di quattro uomini di colore dalla mole imponente, dal fare minaccioso e dallo sguardo vagamente truce. Guardo i miei vicini per capire se c'è da mettersi sull'attenti e percepisco una certa tensione, ad un certo punto uno dei quattro urla ”Ok men, Let's go” e tirando fuori dalla gola una voce baritonale talmente roca da graffiarti lo stomaco comincia a cantare “Stand by me”, gli altri tre lo seguono facendo la seconda voce ed accompagnandolo con dei soavi gorgheggi.

I quattro percorrono l'intero vagone in fila indiana continuando a cantare, muovendosi ballando e sorridendo in modo incredibilmente infantile. Alla fine dell'esibizione l'intero vagone è esploso in un applauso.

Mentre li vedevo scendere cantando ed ancheggiando mi sono sorpreso a sculettare a tempo con loro.
Evidentemente non c'era proprio nulla di cui preoccuparsi.

Seňora Elsa 1/2

giovedì 26 aprile 2007 1 commenti

Venerdì in serata vado con Lukana a prendere le chiavi del mio appartamento dalla padrona di casa. Quando la vedo mi da subito l'impressione di una donna dall'animo buono, non è più alta di un metro e cinquanta e certamente non è proprio quello che normalmente si definisce bella donna, ma è solare ed ha un sorriso radioso. Mi saluta parlando in inglese e dopo poche frasi comincia a parlare spagnolo. Io quasi non mi accorgo della differenza perché entrambe le lingue mi risultano incompresibili.
Mentre mi intrattenevo in una improbabile discussione con la Seňora Elsa, la padrona di casa, Lukana si stava affrettando a combinarmi la serata con sua cugina ed una fantomatica amica italiana.
Quando ormai l'idioma spagnolo cominciava a suonarmi famigliare irrompe Lukana dicendo con fare trionfale:”Preparati stasera vai in discoteca con mia cugina. Lei è pazza”.
Dopo questo annuncio muoviamo verso l'appartamento per visionarlo e decidere se è di mio gusto. L'appartamento e la zona meritano un capitolo a parte quindi non li descrivero adesso.
Siccome devo prepararmi per il club chiedo a Lukana e alla Seňora Elsa di attendermi qualche minuto. Giusto il tempo di una doccia, un colpo di rasoio, mettermi una camicia e sono pronto per uscire.
Apro la porta del bagno ed esco bello come il sole pronto a mordere la serata Newyorkese. I piani però sono improvvisamente cambiati, la cugina di Lukana ha avuto una sorta di complicazione alimentare che gli ha reso difficile allontanarsi dal bagno, appena realizzo che la mia serata è saltata un'ombra mi oscura il viso.
Il mio disappunto deve essere stato così evidente che la Seňora Elsa ha insistito perché uscissi con sua figlia. Ho provato a schermirmi e a declinare gentilmente, ma lei aveva già avvisato la figlia che aveva accettato di buon grado. Seňora Elsa mi legge ancora dentro e scova una altra mia inquetudine, allora quasi con fare materno prende una foto di sua figlia in costume da bagno e me la mostra.
Il mio cuore si è rasserenato. Ed ho pensato:"Non ci saranno nuvole su Time Square questa sera".

Seňora Elsa 2/2

0 commenti

Lukana mi lascia a casa della Seňora Elsa. Lei mi fa salire e mi fa conoscere la famiglia al completo, una decina di persone in tutto tra bambini vivaci, adulti briosi ed una vecchietta terribile.

Nella confusione del momento raccolgo alcune informazioni: è il compleanno del nipote della Seňora Elsa e ciò mi è chiaro dal fatto che mi danno una enorme fetta di torta ancora comprensiva di candelina, Fabiola la figlia della Seňora Elsa ha due bambini di cui il più grande ha già quattordici anni.


Fabiola mi è parsa subito una ragazza tenace ed intelligente. Abbiamo parlato un po' mentre mi gustavo, si fa per dire, la torta con un'enorme caffè annaquato; il mio inglese limitato riduceva per forza di cose la conversazione ad argomenti futili o di poco conto, nonostante ciò percepivo sincero interesse da parte sua.
Nel corso della serata ho scoperto che Fabiola ha avuto due figli da suo marito, il primo quando era giovanissima e che adesso ha divorziato. Ha un lavoro che le permette di mantenere i due figli e nel tempo che le rimane si sta laureando in marketing. Non male, direi!

Lo so cosa vi state chiedendo. Ma allora come andata la serata?
La Seňora Elsa sarà ospitale, ma mica è scema. Ha visto la faccia da marpione ed è voluta venire anche lei a Time Square con noi, si è anche premurata di portarsi un nipote in modo da controllarci meglio.

E' stata una bella serata ed ho anche una magnifica foto dove abbraccio la Seňora Elsa.

MY FIRST DAY

lunedì 23 aprile 2007 0 commenti

Mi sveglio piuttosto presto per via del fuso orario ed esco subito per andare a Manhattan, mentre sto andando verso la metropolitana mi accorgo di non aver fatto colazione ed entro un locale dall'aria dimessa dal quale fuoriesce un odore di fritto poco usuale in Italia soprattutto intorno alle otto del mattino. Quando realizzo che di caffè e briosche non c'è neanche a parlarne prendo il coraggio a due mani e ordino la colazione dei campioni, che comprende: due uova strapazzate, panchetta fritta, patate alla piattra, pane imburrato e un enorme caffè con latte e zucchero.

Nel complesso devo dire di aver gradito e di aver mangiato con gusto.

Detto questo prendo la metropolitana fino a Time Square e poi mi dirigo a piedi verso downtown.
E' difficile descrivere quanto è affascinante NYC, mi è anche difficile capire se la sua bellezza è assoluta o sono i miei gusti che aderiscono alle sue caratteristiche.
NYC è la metafora del sogno americano, Park Avenue con le sue limousine e le sue case esclusive non dista più di quattrocento metri dalla VIII Avenue dove si possono vedere palazzi di edilizia popolare ed anche una sorta di degrado.

Il traffico è presente, ma non invadente, i marciapiede sono ampi ed il pedone è rispettato. Le strade principali di Mannathan sono a 6 corsie ed a senso unico. Fuori dalle ore di punta è possibile parcheggiare ai lati della strada e quindi le corsie transitabili diventano quattro.
La freepress è disponibile sia in inglese che in spagnolo.

NYC non è una città perfetta. Alcune strade hanno buche grosse come crateri, gli automobilisti suonano il clacson, i pedoni attraversano con il rosso, ma si respira ottimismo. C'è nell'aria l'odore dei sogni realizzati. Si respira la speranza e la voglia di vivere.

Sono partito perché ho passato troppo tempo senza ascoltare le persone e volevo porre rimedio a questa mia mancanza.

Mi sa che ho scelto il posto giusto.

MELTING POT

0 commenti

Lukana è di madre colombiana e di padre italiano. I suoi figli hanno il padre francese. Lukana parla lo spagnolo, l'inglese e l'italiano. La madre di Lukana parla lo spagnolo e l'inglese. Il padre di Lukana pur essendo italiano non conosce neanche una parola nella sua lingua natale perché all'età di due anni è emigrato in Argentina, viceversa parla molto bene lo spagnolo e piuttosto male l'inglese. I figli di Lukana (due gemelli di 7 anni) parlano solo inglese.

In fondo penso che nulla possa spiegare meglio di queste poche righe cosa si può trovare a NYC.

Se vi state chiedendo come cazzo ha fatto Lukana ad imparare l'italiano vi tolgo il dubbio dicendovi che è stata fidanzata 4 anni con un nostro compaesano.

L'ARRIVO

2 commenti

Secondo le istruzioni che mia sorella mi ha dato una volta sbracato a Newark (New Jersey) avrei dovuto prendere il bus fino all'aeroporto La Guardia (NYC). Una volta arrivato avrei dovuto telefonare ad un numero di cellulare al quale avrebbe risposto un sua cara amica di nome Lukana che sarebbe venuta a prendermi con un Honda grigia di notevoli dimensioni e mi avrebbe riconosciuto per via della mia valigia rossa.


Il piano era un po' elaborato ma sarebbe potuto funzionare se non fosse che al primo punto invece che prendere un biglietto del bus acquisto quello di un taxi collettivo. Quando capisco l'errore mi trovo su un furgone a 9 posti con un ragazzo di colore molto nervoso, un bianco sulla quarantina al quanto accaldato che si lamenta continuamente con il guidatore per via della politica estera dell'amministrazione Bush (o almeno così mi è sembrato). Colgo il momento propizio e porgo la questione al tassista che con una certa fatica legge l'indirizzo e dopo qualche secondo di meditazione mi dice: "Ok, man".


A quel punto capisco la causa del nervosismo del ragazzo di colore, deve prendere un aero dal JFK ed il tempo era già al di sotto della soglia minima che io avrei sopportato. L'ulteriore deviazione causata dalla mia richiesta è stata la scintilla che ha innescato una discussione dai toni accesi. Dopo circa cinque minuti di alterco l'autista ferma il furgone e mi fa scendere in una zona piuttosto periferica e biascica qualcosa che a me ha suonato più o meno:"Sei arrivato adesso non rompere i coglioni che ho fretta".


Alcuni indirizzi americani sono formati come in Italia dal nome della via e da un numero civico altri invece usano un sistema un po' meno immediato. Sono formati da un numero di 5 o 6 cifre seguito da un nome, le prime cifre indicano il numero delle due strade che si incrociano e le ultime il numero del palazzo il nome indica semplicemente la zona.

Potete immaginare la mia preoccupazione nel trovarmi in un luogo sconosciuto con una valigia enorme e stanco morto per via del viaggio, a complicare la situazione si è messa anche la paura di aver perso il numero di telefono di Lukana nello scendere dal taxi.


Mentre mi ravanavo nelle tasche furiosamente mi si avvicina un signore sulla sessantina, faccia pacifica e sguardo stralunato che mi dice:"Are you looking for address?".

"Yes, I'm." e siccome nel frattempo avevo trovato il biglietto con l'indirizzo ed il numero di telefono aggiungo "55 3....", senza darmi retta continua "Are you looking for Lukana? I'm her father".

Mi sorride e mi porta a casa sua.
A New York attualmente conoscerò un decina di persone o poco più e il padre di Lukana lo ho già incontrato (oltre a quanto appena raccontato) per caso in metropolitana e pochi minuti fa qui a Central Park. O abbiamo una sorta di affinità elettiva o NYC non è poi così grande.

LA PARTENZA

0 commenti
La differenza risulta lampante quando guardando la carta d'imbarco si nota la scritta “WORLD TRAVELLER”. E' quando ho messo gli occhi su questo dettaglio all'aeroporto di Londra che ho capito. Ho capito che il dado era tratto e che bisognava soltanto attenderne il risultato.

E' tutto il giorno che ho uno strano buonumore che mi pervade, un senso di leggerezza che non dovrebbe essere usuale quando si affrontano situazioni nuove e dal futuro incerto, ma in realtà non mi sono quasi mai preoccupato per il viaggio, anzi, se ho avuto dei momenti di incertezza o di inquietudine era per paura di non riuscire a sistemare le questioni che avevo lasciato in sospeso in Italia. Penso di aver chiarito tutto, forse non nel migliore dei modi e certamente non con il migliore dei risultati, ma d'altra parte si è mai visto cominciare un grande viaggio senza uno sfondo di leggera ed impalpabile malinconia.
Cosa c'è di meglio che struggersi per la lontananza da casa per esaltare le gioie della scoperta. L'importante è non portarsi in valigia i rimpianti o peggio ancora problemi da risolvere, in tal caso il bagaglio sarebbe troppo pesante e si rischierebbe di non godersi a pieno il viaggio.
Oggi sull'areo da Milano a Londra ho incontrato Vittorio Zucconi (americanista de “La Repubblica”), mi è sembrato un segno e non ho potuto fare a meno di dirgli:"Sig. Zucconi sto andando a New York per tre mesi cosa mi devo aspettare?". Lui dopo aver inquadrato lo scopo del mio viaggio con tre o quattro domande secche mi risponde:"Vede, lei ha comprato un biglietto della lotteria, non si aspetti di vincere di sicuro, ma vedrà che comunque si divertirà".
Tanto mi basta.
In questo momento sono sull'aereo tra un americano di mole sostenuta, di aria bonaria e di una gentilezza squisita ed una vecchina di origine indiana che sfoggia un inglese peggiore del mio nonostante il suo passaporto del Regno Unito. L'americano mi ha aiutato a compilare il foglio dove dichiaro di non essere stato un collaborazionista nazista tra il 33 ed il 45, sono dispiaciuto delle mie difficoltà a comunicare. Mi è simpatico epidermicamente. Dovunque volto il capo vedo una moltitudine di razze e sento un miscuglio di lingue.
E' stato bello tornare a casa. Sapere che i tuoi amici sono pronti a sostenerti quando ne hai bisogno. Sapere che la tua famiglia approva quello che fai senza fare domande perché si fida di te. Ma più nuoto in questa situazione più mi accorgo di essere nel mio elemento.
Già. Sono un pesce e finalmente sono nel mare.