ASTORIA

lunedì 30 aprile 2007 4 commenti
Il mio appartamento è abbastanza carino, ho una camera con due letti, una TV con qualche canale a pagamento, un impianto stereo ed un lettore DVD con Home Theater. La cucina è posizionata proprio all'ingresso ed è fornita di ogni elettrodomestico e suppellettile, ho anche un enorme frigorifero che potrebbe comodamente contenermi. Il bagno ha una doccia spaziosissima. In due ci si sta di sicuro, ma ad occhio, stringendosi ci si sta anche in quattro.
Il resto del bagno non è altrettanto spazioso e non ho neanche il bidè. Come tutte le case americane che si rispettano non ho la lavatrice e probabilmente nei prossimi giorni andrò alla lavanderia a gettoni a fare il bucato.
Vista da fuori la casa ha decisamente un aspetto dimesso ed anche il vicinato non sembra dei più raccomandabili, ma mi hanno detto di stare tranquillo ed io non mi faccio prendere dal panico. La posizione è piuttosto comoda. In linea d'aria non sono che a duecento metri dal fiume e quindi non più di mezzo chilometro da Manhattan.
Basta camminare per trecento metri ed imbocco la strada principale del quartiere ed il paesaggio cambia drasticamente, l'intera via è costellata da negozi, ristoranti, pub e locali. I ristoranti sono molto economici e quindi la gente tende a cenare sovente fuori, il risultato è che anche durante la settimana il quartiere e zeppo di persone.
Non fatevi ingannare non è Corso Como. Non si vedono solo giovani tirati a lucido e pronti a far nottata. I ristoranti sono pieni di famiglie con bambini scalmanati e nonne bisbetiche (specialmente quelle di lingua spagnola sono terribili), nei pub si incontrano pensionati, studenti, coppie mature e gruppi di amici.
Astoria era storicamente popolato da italiani, adesso le cose sono molto cambiate e lo spagnolo è sicuramente la lingua parlata meglio, anche rispetto all'inglese. Un newyorkese su tre non è nato in america, ma in ogni casa trovi la bandiera a stelle e strisce, l'ho davanti agli occhi anche in questo momento in casa della Señora Elsa.
La forza di questa città sta nel fatto che, o in prima persona o attraverso il racconto dei propri genitori, chi vive a NYC sa che qui ha migliorato la sua vita. Ho parlato con molti immigrati e tutti mi hanno detto che non lascerebbero mai NYC per tornare nel loro paese.
NYC è popolata da persone felici di stare qui, già solo questo non sarebbe poco, ma c'è di più. Chi ha fatto una scelta difficile come lasciare le proprie radici per essere più felice e ci è riuscito, è una persona che sarà capace di fare ancore scelte coraggiose per raggiungere la felicità.

Sembra una banalità, ma non tutte le persone sanno che possono inseguire la loro felicità o alcune lo sanno e non hanno la forza di farlo o ad altre non gli hanno insegnato come fare. In questa città si respira l'aria di sogni realizzati e si coltivano speranze.

Questa città ti accoglie perché in questa città tutti sono arrivati e pochissimi ci sono nati.

Se a Milano un siciliano lavora per una vita in una fabbrica di panettoni in fondo verrà sempre considerato un terrone, a NYC ti bastano dieci giorni per diventare un newyorkese.

Io sono arrivato nove giorni fa.

MANHATTAN

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Manhattan ha la forma di un rettangolo allungato, il lato maggiore si distende da nord verso sud, il lato inferiore è circa un sesto di quello maggiore. Le sue dimensioni sono simili a quelle dell'isola capace di contenere tutti gli abitanti del mondo, come la descriveva Antoine de Saint-Exupéry nel piccolo principe.
Effettivamente Manhattan è questo, un mondo concentrato in un isola. In meno di una settimana ho mangiato: coreano, colombiano due volte, messicano e thailandese.
Da nord a sud corrono le Avenue, enormi strade a senso unico dotate di sei corsie, da ovest verso est puoi percorrere le Street, strade più modeste con solo tre corsie ed anche queste prevalentemente a senso unico.
Le strade hanno raramente nomi propri e più spesso sono etichettate da dei numeri. Le poche eccezioni hanno nomi celebri come Broadway o Lexington avenue.
Al centro di Manhattan c'è Central Park un'enorme area verde che ricopre circa un decimo dell'intera isola. Riuscite ad immaginarvi quanto tempo potrebbe resistere in Italia un parco di quelle dimensioni posizionato al centro dell'area potenzialmente edificabile più preziosa al mondo.

La mia principale paura nell'affrontare il viaggio era quella di trovarmi in un ambiente claustrofobico, nel quale fosse difficile scorgere il sole o guardare l'orizzonte. In realtà NYC è una città sorprendentemente luminosa, la dimensione delle strade e la loro disposizione geometrica danno l'impressione di stare in uno spazio aperto. Nonostante sia piuttosto difficile trovare palazzi con meno di 20 piani questo non ti impedisce di essere sempre illuminato dalla luce solare.

I Newyorkesi dividono Manhattan in Uptown, Midtown e Downtown.
Uptown è a nord di Central Park e puoi trovare la Columbia University ed Harlem, le street hanno numeri superiori al 90.
Con Midtown si definisce la parte centrale dell'isola dove puoi passeggiare per: Central Park, Park Avenue, il Rockefeller center e naturalmente Time Square.

Entrando nella downtown si passa per Little Italy, si prosegue per Chinatown che si sta pian piano espandendo a spese del quartiere italiano e si arriva a Wall Street. Nel cuore di downtown c'è Ground Zero. Proseguendo si raggiunge Sea Port e quindi l'oceano.
NYC è una città di mare, i suoi ponti sono famosi ed il suo monumento simbolo è posizionato per essere visto arrivando dal mare. Ve lo immaginate l'immigrante veneto all'inizio del novecento che dopo un mese di viaggio in mezzo all'oceano si trova davanti la statua della libertà?
Eppure il mare non si percepisce, in città non se ne respira l'odore e non se ne sente il rumore, nessun segnale ti fa capire di essere accanto all'oceano. Mentre scrivo queste parole mi viene alla mente ciò che un giorno mi disse un mio amico genovese:”Ma cosa volete capirne voi milanesi del mare che vi accorgete che c'è solo quando avete l'acqua alle ginocchia”.
Il primo giorno ho visitato Manhattan da solo per quasi dieci ore, alla fine della giornata stavo tornando verso casa con la metropolitana, un po' per la stanchezza dovuta alla camminata ed un po' perché per dieci ore mi sono trovato a scambiare solo poche parole occasionali e neanche nella mia lingua, mi sentivo un po' triste e leggermente preoccupato. Stava sorgendo in me la paura di non riuscire ad integrarmi in questa enorme città. I miei pensieri sono stati disturbati dall'ingresso nella mia carrozza di quattro uomini di colore dalla mole imponente, dal fare minaccioso e dallo sguardo vagamente truce. Guardo i miei vicini per capire se c'è da mettersi sull'attenti e percepisco una certa tensione, ad un certo punto uno dei quattro urla ”Ok men, Let's go” e tirando fuori dalla gola una voce baritonale talmente roca da graffiarti lo stomaco comincia a cantare “Stand by me”, gli altri tre lo seguono facendo la seconda voce ed accompagnandolo con dei soavi gorgheggi.

I quattro percorrono l'intero vagone in fila indiana continuando a cantare, muovendosi ballando e sorridendo in modo incredibilmente infantile. Alla fine dell'esibizione l'intero vagone è esploso in un applauso.

Mentre li vedevo scendere cantando ed ancheggiando mi sono sorpreso a sculettare a tempo con loro.
Evidentemente non c'era proprio nulla di cui preoccuparsi.

Seňora Elsa 1/2

giovedì 26 aprile 2007 1 commenti

Venerdì in serata vado con Lukana a prendere le chiavi del mio appartamento dalla padrona di casa. Quando la vedo mi da subito l'impressione di una donna dall'animo buono, non è più alta di un metro e cinquanta e certamente non è proprio quello che normalmente si definisce bella donna, ma è solare ed ha un sorriso radioso. Mi saluta parlando in inglese e dopo poche frasi comincia a parlare spagnolo. Io quasi non mi accorgo della differenza perché entrambe le lingue mi risultano incompresibili.
Mentre mi intrattenevo in una improbabile discussione con la Seňora Elsa, la padrona di casa, Lukana si stava affrettando a combinarmi la serata con sua cugina ed una fantomatica amica italiana.
Quando ormai l'idioma spagnolo cominciava a suonarmi famigliare irrompe Lukana dicendo con fare trionfale:”Preparati stasera vai in discoteca con mia cugina. Lei è pazza”.
Dopo questo annuncio muoviamo verso l'appartamento per visionarlo e decidere se è di mio gusto. L'appartamento e la zona meritano un capitolo a parte quindi non li descrivero adesso.
Siccome devo prepararmi per il club chiedo a Lukana e alla Seňora Elsa di attendermi qualche minuto. Giusto il tempo di una doccia, un colpo di rasoio, mettermi una camicia e sono pronto per uscire.
Apro la porta del bagno ed esco bello come il sole pronto a mordere la serata Newyorkese. I piani però sono improvvisamente cambiati, la cugina di Lukana ha avuto una sorta di complicazione alimentare che gli ha reso difficile allontanarsi dal bagno, appena realizzo che la mia serata è saltata un'ombra mi oscura il viso.
Il mio disappunto deve essere stato così evidente che la Seňora Elsa ha insistito perché uscissi con sua figlia. Ho provato a schermirmi e a declinare gentilmente, ma lei aveva già avvisato la figlia che aveva accettato di buon grado. Seňora Elsa mi legge ancora dentro e scova una altra mia inquetudine, allora quasi con fare materno prende una foto di sua figlia in costume da bagno e me la mostra.
Il mio cuore si è rasserenato. Ed ho pensato:"Non ci saranno nuvole su Time Square questa sera".

Seňora Elsa 2/2

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Lukana mi lascia a casa della Seňora Elsa. Lei mi fa salire e mi fa conoscere la famiglia al completo, una decina di persone in tutto tra bambini vivaci, adulti briosi ed una vecchietta terribile.

Nella confusione del momento raccolgo alcune informazioni: è il compleanno del nipote della Seňora Elsa e ciò mi è chiaro dal fatto che mi danno una enorme fetta di torta ancora comprensiva di candelina, Fabiola la figlia della Seňora Elsa ha due bambini di cui il più grande ha già quattordici anni.


Fabiola mi è parsa subito una ragazza tenace ed intelligente. Abbiamo parlato un po' mentre mi gustavo, si fa per dire, la torta con un'enorme caffè annaquato; il mio inglese limitato riduceva per forza di cose la conversazione ad argomenti futili o di poco conto, nonostante ciò percepivo sincero interesse da parte sua.
Nel corso della serata ho scoperto che Fabiola ha avuto due figli da suo marito, il primo quando era giovanissima e che adesso ha divorziato. Ha un lavoro che le permette di mantenere i due figli e nel tempo che le rimane si sta laureando in marketing. Non male, direi!

Lo so cosa vi state chiedendo. Ma allora come andata la serata?
La Seňora Elsa sarà ospitale, ma mica è scema. Ha visto la faccia da marpione ed è voluta venire anche lei a Time Square con noi, si è anche premurata di portarsi un nipote in modo da controllarci meglio.

E' stata una bella serata ed ho anche una magnifica foto dove abbraccio la Seňora Elsa.

MY FIRST DAY

lunedì 23 aprile 2007 0 commenti

Mi sveglio piuttosto presto per via del fuso orario ed esco subito per andare a Manhattan, mentre sto andando verso la metropolitana mi accorgo di non aver fatto colazione ed entro un locale dall'aria dimessa dal quale fuoriesce un odore di fritto poco usuale in Italia soprattutto intorno alle otto del mattino. Quando realizzo che di caffè e briosche non c'è neanche a parlarne prendo il coraggio a due mani e ordino la colazione dei campioni, che comprende: due uova strapazzate, panchetta fritta, patate alla piattra, pane imburrato e un enorme caffè con latte e zucchero.

Nel complesso devo dire di aver gradito e di aver mangiato con gusto.

Detto questo prendo la metropolitana fino a Time Square e poi mi dirigo a piedi verso downtown.
E' difficile descrivere quanto è affascinante NYC, mi è anche difficile capire se la sua bellezza è assoluta o sono i miei gusti che aderiscono alle sue caratteristiche.
NYC è la metafora del sogno americano, Park Avenue con le sue limousine e le sue case esclusive non dista più di quattrocento metri dalla VIII Avenue dove si possono vedere palazzi di edilizia popolare ed anche una sorta di degrado.

Il traffico è presente, ma non invadente, i marciapiede sono ampi ed il pedone è rispettato. Le strade principali di Mannathan sono a 6 corsie ed a senso unico. Fuori dalle ore di punta è possibile parcheggiare ai lati della strada e quindi le corsie transitabili diventano quattro.
La freepress è disponibile sia in inglese che in spagnolo.

NYC non è una città perfetta. Alcune strade hanno buche grosse come crateri, gli automobilisti suonano il clacson, i pedoni attraversano con il rosso, ma si respira ottimismo. C'è nell'aria l'odore dei sogni realizzati. Si respira la speranza e la voglia di vivere.

Sono partito perché ho passato troppo tempo senza ascoltare le persone e volevo porre rimedio a questa mia mancanza.

Mi sa che ho scelto il posto giusto.

MELTING POT

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Lukana è di madre colombiana e di padre italiano. I suoi figli hanno il padre francese. Lukana parla lo spagnolo, l'inglese e l'italiano. La madre di Lukana parla lo spagnolo e l'inglese. Il padre di Lukana pur essendo italiano non conosce neanche una parola nella sua lingua natale perché all'età di due anni è emigrato in Argentina, viceversa parla molto bene lo spagnolo e piuttosto male l'inglese. I figli di Lukana (due gemelli di 7 anni) parlano solo inglese.

In fondo penso che nulla possa spiegare meglio di queste poche righe cosa si può trovare a NYC.

Se vi state chiedendo come cazzo ha fatto Lukana ad imparare l'italiano vi tolgo il dubbio dicendovi che è stata fidanzata 4 anni con un nostro compaesano.

L'ARRIVO

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Secondo le istruzioni che mia sorella mi ha dato una volta sbracato a Newark (New Jersey) avrei dovuto prendere il bus fino all'aeroporto La Guardia (NYC). Una volta arrivato avrei dovuto telefonare ad un numero di cellulare al quale avrebbe risposto un sua cara amica di nome Lukana che sarebbe venuta a prendermi con un Honda grigia di notevoli dimensioni e mi avrebbe riconosciuto per via della mia valigia rossa.


Il piano era un po' elaborato ma sarebbe potuto funzionare se non fosse che al primo punto invece che prendere un biglietto del bus acquisto quello di un taxi collettivo. Quando capisco l'errore mi trovo su un furgone a 9 posti con un ragazzo di colore molto nervoso, un bianco sulla quarantina al quanto accaldato che si lamenta continuamente con il guidatore per via della politica estera dell'amministrazione Bush (o almeno così mi è sembrato). Colgo il momento propizio e porgo la questione al tassista che con una certa fatica legge l'indirizzo e dopo qualche secondo di meditazione mi dice: "Ok, man".


A quel punto capisco la causa del nervosismo del ragazzo di colore, deve prendere un aero dal JFK ed il tempo era già al di sotto della soglia minima che io avrei sopportato. L'ulteriore deviazione causata dalla mia richiesta è stata la scintilla che ha innescato una discussione dai toni accesi. Dopo circa cinque minuti di alterco l'autista ferma il furgone e mi fa scendere in una zona piuttosto periferica e biascica qualcosa che a me ha suonato più o meno:"Sei arrivato adesso non rompere i coglioni che ho fretta".


Alcuni indirizzi americani sono formati come in Italia dal nome della via e da un numero civico altri invece usano un sistema un po' meno immediato. Sono formati da un numero di 5 o 6 cifre seguito da un nome, le prime cifre indicano il numero delle due strade che si incrociano e le ultime il numero del palazzo il nome indica semplicemente la zona.

Potete immaginare la mia preoccupazione nel trovarmi in un luogo sconosciuto con una valigia enorme e stanco morto per via del viaggio, a complicare la situazione si è messa anche la paura di aver perso il numero di telefono di Lukana nello scendere dal taxi.


Mentre mi ravanavo nelle tasche furiosamente mi si avvicina un signore sulla sessantina, faccia pacifica e sguardo stralunato che mi dice:"Are you looking for address?".

"Yes, I'm." e siccome nel frattempo avevo trovato il biglietto con l'indirizzo ed il numero di telefono aggiungo "55 3....", senza darmi retta continua "Are you looking for Lukana? I'm her father".

Mi sorride e mi porta a casa sua.
A New York attualmente conoscerò un decina di persone o poco più e il padre di Lukana lo ho già incontrato (oltre a quanto appena raccontato) per caso in metropolitana e pochi minuti fa qui a Central Park. O abbiamo una sorta di affinità elettiva o NYC non è poi così grande.

LA PARTENZA

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La differenza risulta lampante quando guardando la carta d'imbarco si nota la scritta “WORLD TRAVELLER”. E' quando ho messo gli occhi su questo dettaglio all'aeroporto di Londra che ho capito. Ho capito che il dado era tratto e che bisognava soltanto attenderne il risultato.

E' tutto il giorno che ho uno strano buonumore che mi pervade, un senso di leggerezza che non dovrebbe essere usuale quando si affrontano situazioni nuove e dal futuro incerto, ma in realtà non mi sono quasi mai preoccupato per il viaggio, anzi, se ho avuto dei momenti di incertezza o di inquietudine era per paura di non riuscire a sistemare le questioni che avevo lasciato in sospeso in Italia. Penso di aver chiarito tutto, forse non nel migliore dei modi e certamente non con il migliore dei risultati, ma d'altra parte si è mai visto cominciare un grande viaggio senza uno sfondo di leggera ed impalpabile malinconia.
Cosa c'è di meglio che struggersi per la lontananza da casa per esaltare le gioie della scoperta. L'importante è non portarsi in valigia i rimpianti o peggio ancora problemi da risolvere, in tal caso il bagaglio sarebbe troppo pesante e si rischierebbe di non godersi a pieno il viaggio.
Oggi sull'areo da Milano a Londra ho incontrato Vittorio Zucconi (americanista de “La Repubblica”), mi è sembrato un segno e non ho potuto fare a meno di dirgli:"Sig. Zucconi sto andando a New York per tre mesi cosa mi devo aspettare?". Lui dopo aver inquadrato lo scopo del mio viaggio con tre o quattro domande secche mi risponde:"Vede, lei ha comprato un biglietto della lotteria, non si aspetti di vincere di sicuro, ma vedrà che comunque si divertirà".
Tanto mi basta.
In questo momento sono sull'aereo tra un americano di mole sostenuta, di aria bonaria e di una gentilezza squisita ed una vecchina di origine indiana che sfoggia un inglese peggiore del mio nonostante il suo passaporto del Regno Unito. L'americano mi ha aiutato a compilare il foglio dove dichiaro di non essere stato un collaborazionista nazista tra il 33 ed il 45, sono dispiaciuto delle mie difficoltà a comunicare. Mi è simpatico epidermicamente. Dovunque volto il capo vedo una moltitudine di razze e sento un miscuglio di lingue.
E' stato bello tornare a casa. Sapere che i tuoi amici sono pronti a sostenerti quando ne hai bisogno. Sapere che la tua famiglia approva quello che fai senza fare domande perché si fida di te. Ma più nuoto in questa situazione più mi accorgo di essere nel mio elemento.
Già. Sono un pesce e finalmente sono nel mare.